da SOLVECOAGULA » 05/04/2016, 9:40
La differenza che ho sempre vissuto rispetto al lavoro in altri settori della PA è questo: in altri settori le cose sono senz'altro difficili e anche là ci sono spesso sforzi sisifici dell'andare avanti un metro e tornare indietro di un metro... ma mettendocisi d'impegno e "rubando" un'informazione qua e una là ci si può creare una mezza professionalità, una mezza dignità, portando qualcosa a casa in termini di sapere o almeno coerenza fra nozioni, procedimenti, fra quadro astratto e adempimenti concreti, operatività e mansioni.
Sarà perchè non appartengo ad una generazione di lunga data di istruttori contabili (leggi: forse se avessi iniziato a lavorare vent'anni fa e avessi digerito l'assurdità in modo più graduale, avrei un'opinione diversa), ma gli stessi processi di learning by doing, di auto-costruzione di un'autonomia professionale, nel settore finanziario me li sogno.
Sarà che ho avuto sfiga, sarà la forma mentis, bu... non so, non voglio nemmeno partire che è colpa di altri... non voglio partire col dire che i caporagionieri mi "nascondevano e non condividevano" (magari erano troppo indaffarati a gestire l'assurdo), sta di fatto che per me in questo settore non c'è per me modo di crescere, io non lo vedo. E, leggendo voi, la mia intuizione si ritrova confermata.
Si ritrova confermata anche dalle tante persone che lavorano spesso nella cd. ragioneria, spesso settoriali, monospecializzate, spesso ignoranti (se escludiamo il caporagioniere) (e lo dico con il massimo rispetto (!!!)) sulle altre branchie della PA... e viceversa negli altri settori persone che di contabilità non comprendono nulla (e ne hanno ben donde - voi comprendereste?).
Non so voi, ma io rimarco che quotidianamente vedo come il ruolo delle softwarehouse e dell'informatica aggrava questo stato di cose, poichè tutto ciò che facciamo comunque passa per un mondo di conti (e non) composto in programmi informatici... sarà pure un caso personale mio, ma stare a dipendere per un buon terzo del tempo a cimentarsi con quale bottone, quale escamotage kafkiano, quale subprocedura per supplire al subsubproblema, dipendere da assistenze varie in attesa che ti richiamino, rubare (letteralmente) le informazioni ai colleghi di altri comuni con i mille "come hai fatto tu?" le soluzioni (rido: ma soluzioni de che?) per produrre questo o quello...
... tutto questo non è da terzo millennio. Forse qualcuno può accettare questo come tristemente normale semplicemente perchè è frequente e quotidiano. Io non ce la faccio.
Io non vi nego che una volta, al lavoro, la prima preoccupazione era come faccio, cosa faccio, e come fare una cosa eventualmente sbagliata nel modo meno sbagliato possibile. O, se sbagliato, difficilmente impugnabile, o quantomento riducendo la percentuale di rischio dell'Ente al minimo. La mia concentrazione era indirizzata a tutelare l'Ente.
Oggi, ho riorientato le mie attenzioni nel diritto del lavoro intorno alla mia persona e la domanda principale è come fare che io sia tutelato di fronte al fare le cose sbagliate o quantomeno non in modo ortodosso. Ovvero a difendermi preventivamente affinchè, poichè facendole sbagliate o quantomento non al meglio - o in ritardo ecc., a produrre le prove a mio favore, affinchè sia dimostrabile che non si poteva fare in modo poi tanto diverso da quello in cui si è fatto.
E' un po' squallido e comporta tutto un altro tipo di filosofia del lavoro, ma tant'è.