CONTRIBUTI A RENDICONTAZIONE

In fase di riaccertamento straordinario (ente non sperimentatore) lo scorso anno ho provveduto a reimputare al 2015 i residui attivi e passivi riguardanti un’opera pubblica finanziata dalla regione, la quale erogherà il finanziamento solo previa presentazione della documentazione di spesa riguardante i vari SAL (Stati di Avanzamento Lavori).
Ho ritenuto, pertanto, che quello fosse un “contributo a rendicontazione” per cui secondo i principi contabili si reimputa non solo la spesa ma anche l’entrata, qualora non esigibile, senza ricorrere all’FPV.
Quest’anno ad una giornata di formazione, la relatrice/consulente/giornalista del sole24ore, ha affermato: “…. ciò che ci siamo raccontati finora sui contributi a rendicontazione non è propriamente esatta, nel senso che non basta il semplice presupposto che l’ente finanziatore eroghi il contributo solo a seguito della dimostrazione della spesa sostenuta per identificare quel contributo quale “contributo a rendicontazione” ma occorre leggersi bene i provvedimenti di concessione dei finanziamento”
Purtroppo nel prosieguo dell’incontro formativo non mi è stato possibile chiedere chiarimenti, quindi li chiedo a Voi gentili colleghi, sicuramente più esperti di me: se non basta il semplice presupposto che per ottenere l’erogazione del contributo concesso occorra dapprima dimostrare la spesa sostenuta, qual è l’elemento discriminante che consente di qualificare un contributo quale “contributo a rendicontazione” secondo i nuovi principi contabili?
La questione non è di poco conto, perché se la spesa di un’opera pubblica viene portata in avanti negli anni mediante la reimputazione dei corrispondenti residui attivi piuttosto che mediante l’FPV, dal 2017, quando secondo i nostri geni legiferanti non rileverà più l’FPV ai fini del pareggio di bilancio, l’errata applicazione del principio potrebbe tradursi in una manovra elusiva dei vincoli del pareggio di bilancio.
Grazie a tutti coloro che vorranno dare il proprio contributo alla discussione.
Ho ritenuto, pertanto, che quello fosse un “contributo a rendicontazione” per cui secondo i principi contabili si reimputa non solo la spesa ma anche l’entrata, qualora non esigibile, senza ricorrere all’FPV.
Quest’anno ad una giornata di formazione, la relatrice/consulente/giornalista del sole24ore, ha affermato: “…. ciò che ci siamo raccontati finora sui contributi a rendicontazione non è propriamente esatta, nel senso che non basta il semplice presupposto che l’ente finanziatore eroghi il contributo solo a seguito della dimostrazione della spesa sostenuta per identificare quel contributo quale “contributo a rendicontazione” ma occorre leggersi bene i provvedimenti di concessione dei finanziamento”
Purtroppo nel prosieguo dell’incontro formativo non mi è stato possibile chiedere chiarimenti, quindi li chiedo a Voi gentili colleghi, sicuramente più esperti di me: se non basta il semplice presupposto che per ottenere l’erogazione del contributo concesso occorra dapprima dimostrare la spesa sostenuta, qual è l’elemento discriminante che consente di qualificare un contributo quale “contributo a rendicontazione” secondo i nuovi principi contabili?
La questione non è di poco conto, perché se la spesa di un’opera pubblica viene portata in avanti negli anni mediante la reimputazione dei corrispondenti residui attivi piuttosto che mediante l’FPV, dal 2017, quando secondo i nostri geni legiferanti non rileverà più l’FPV ai fini del pareggio di bilancio, l’errata applicazione del principio potrebbe tradursi in una manovra elusiva dei vincoli del pareggio di bilancio.
Grazie a tutti coloro che vorranno dare il proprio contributo alla discussione.