da Raggio84 » 04/10/2017, 9:04
Buondì a tutti i colleghi,
condivido un documento dell'Asmel a proposito (la frase in grassetto l'ho evidenziata io):
Napoli, 29 settembre 2017
- Ai Sig.ri Sindaci/ Presidenti e
Assessori degli Enti soci
- Ai Segretari/Direttori Generali
Loro Indirizzi
COMUNICATO AI SOCI
La legge sui piccoli Comuni:
un capolavoro di ipocrisia e di bigottismo normativo
Il Parlamento ha approvato in via definitiva il ddl 2541 “Misure per il sostegno e la valorizzazione dei piccoli comuni, nonché disposizioni per la riqualificazione e il recupero dei centri storici dei medesimi comuni” dopo una gestazione lunga 10 anni.
Franca Biglio, la combattiva Presidente dell’ANPCI, l’Associazione dei piccoli Comuni, l’ha definita una legge di principio che riconosce l’importante ruolo che i piccoli comuni svolgono sul territorio nazionale. Si tratta, infatti, di una svolta storica dopo anni di tentativi per costringere i Comuni minori alle Unioni o Fusioni obbligatorie. Mentre le proposte di legge sulle fusioni obbligatorie non hanno avuto successo nelle aule parlamentari, la legge sulle Unioni coatte del 2010 maggio non ha sinora trovato pratica attuazione ed è ormai in stallo davanti alla Corte Costituzionale, dopo che il TAR Lazio ha accolto tutte le eccezioni di incostituzionalità, ben 11, presentate da ASMEL.
Ci sarebbe da esultare per la svolta rappresentata da una legge ricca di disposizioni miranti alla valorizzazione ed alla tutela delle piccole realtà locali, e con la quale il Parlamento finalmente smette di inseguire il “pensiero unico” espresso dall’ANCI, che si era spinta con l’ex Presidente Piero Fassino ad invocare l’azzeramento dei Comuni con meno di 15 mila abitanti. Ma analizzando nel concreto il contenuto della legge, emerge un bel contenitore, desolatamente vuoto di contenuti.
Vengono stanziati a sostegno delle belle intenzioni, ben 100 milioni di euro diluiti in 7 anni: 10 milioni per il 2017 e 15 nei successivi sei anni. Nei Comuni sotto i 5 mila abitanti vivono 10 milioni di italiani, cui viene offerto dunque l’equivalente di un caffè all’anno in considerazione del loro disagio! Se si sommano i bilanci dei piccoli comuni si ottiene un totale di circa 5 miliardi l’anno. A fronte dei quali i 15 milioni annui rappresentano lo 0,3 %. Un modo per misurare la credibilità di una classe politica, che si sbraccia per intestarsi una legge votata all’unanimità, tranne due
astenuti. Si dirà che le risorse sono poche e una legge non si giudica solo per gli aspetti economici.
Ma allora passiamo ad analizzare gli aspetti non economici.
La legge con 17 articoli, 53 commi e 20.302 parole ricorda ai piccoli Comuni che sono pieni di opportunità: essi possono (ripetuto 37 volte), potranno (3), sono autorizzati (1), è consentito (1) hanno la possibilità (14), hanno facoltà (8), si riconosce loro (1), in favore/o a favore (8).
Un esempio su tutti: All’art. 4, la legge “consente” ai piccoli comuni, interventi per il recupero e riqualificazione dei centri storici e promozione di alberghi diffusi. Nientemeno! Il legislatore non si è accorto che nel nostro sistema gli Enti locali già possono, già sono autorizzati, già è loro consentito, nell’ambito delle normative di rango superiore, di decidere autonomamente come organizzarsi, predisporre piani di sviluppo, cooperare con altri Enti, salvaguardare le proprie specificità e tradizioni ecc. In sostanza, come declinare i principi dell’autonomia locale affermati nella Costituzione.
La logica che ha ispirato gli estensori della legge è, alle solite, quella prescrittiva e dirigista che infesta ormai da decenni la nostra produzione legislativa, e che ASMEL bolla come “bigottismo normativo”. Nel nostro caso, hanno impiegato oltre 10 anni per raccogliere “consigli utili” rivolti agli amministratori dei piccoli Comuni. I quali non ne sentono affatto il bisogno. Mantengono da sempre il presidio di oltre la metà del territorio italiano e garantiscono servizi e rappresentanza a 10 milioni di italiani, malgrado una normativa asfissiante, piena di vincoli ed adempimenti (il Prof. Gios, dell’Università di Trento, ne ha contati circa 1.500), che pontifica su tutto, senza tener conto che i grandi Comuni sono cosa ben diversa dai Comuni montani. Malgrado tutto ciò, hanno sempre dimostrato di riuscire a individuare soluzioni e a dare risposte aderenti al “genius loci”. Sono in grado di dispensare ai Soloni romani migliaia di “consigli utili” già operativi, senza bisogno di una legge ipocrita perché sostanzialmente si limita a declamare intenzioni pie, senza cogliere le reali esigenze dei Comuni minori.
Comuni che chiedono almeno semplificazioni, perché ormai impiegano più tempo per adempiere che per funzionare!
Stavolta, però, l’ipocrisia torna a vantaggio dei piccoli Comuni. Dopo una legge che declama il sostegno e la valorizzazione dei piccoli Comuni, sarà difficile per l’ANCI continuare ad invocarne l’azzeramento ex-lege. Infatti, vista la mala parata, ANCI ha ripiegato da tempo sulla proposta di un robusto sistema di incentivazione e premialità rivolto ai Comuni che accettino di fondersi o di entrare in un’Unione.
Non a caso, la legge prescrive che i fondi stanziati vadano assegnati prioritariamente ai piccoli Comuni che provvederanno ad accorparsi in Unioni o Fusioni!
Ammesso e non concesso che il 10% dei Comuni ceda al ricatto, essi potranno contare su risorse aggiuntive pari a 15 euro annui per abitante. Un caffè al mese, una miseria. Scendendo all’1%, il gruzzolo diventa più interessante, ma i risultati, in termini di accorpamento “spontaneo”, semmai ci saranno, risulteranno risibili. Anche perché bisogna prima accorparsi per poter partecipare al bando per spartirsi risorse tanto misere. Peraltro, la norma sugli incentivi è scritta male e risulterà di difficile applicazione. Non ne parliamo, perché, come dice il proverbio, è meglio sedersi sulla riva del fiume ed aspettare.
Cordiali saluti e buon lavoro.
Il Segretario generale
Francesco Pinto